TRIBUNALE AMMINISTRATIVO
REGIONALE PER L'ABRUZZO
Sezione di Pescara
Sentenza 5 dicembre 1997, n. 681;
Pres. MAGLIULO,
Est. ELIANTONIO;
Soc. italiana additivi per carburanti (Avv. RACCHI,
CIMPOLINI, FALLAGRASSA) c. Inail (Avv. PIGNATARO, PONE, IANNARELLI).
(N.d.r.: da Il Foro Italiano, febbraio 1998, parte terza, pag. 84 e ss.)
Atto amministrativo - Accesso ai
documenti - Sopravvenienza della legge sulla «privacy»
- Abrogazione parziale della normativa sulla trasparenza - Esclusione
(L. 7 agosto 1990 n. 241, nuove norme in materia di procedimento
amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi,
art. 22, L.31 dicembre 1996 n. 675, tutela delle persone e di
altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali, art.
43).
La L.31 dicembre 1996 n. 675, sulla
tutela dei dati personali, non ha abrogato la vigente disciplina
in tema di accesso ai documenti amministrativi; ne deriva l'ultravigenza
della normativa del 1990 sia in punto di giurisdiziorie del gtudice
amministrativo, sia in tema di rapporto tra tutela della riservatezza
e principio di trasparenza dell'azione amministrativa. (1)
Diritto.
- 1.- Con il ricorso in esame, la società ricorrente agisce
in giudizio al fine di ottenere, ai sensi dell'art 25 L. 7 agosto
1990 n 241, l'accesso alla documentazione clinica in possesso
dell'Inail relativa agli ex dipendenti Fernando Ciampa e Giuseppe
Baldassarre e presentata dagli stessi al fine di ottenere l'indennizzabilità
di alcune malattie denunciate come professionali; l'istante chiede,
inoltre, che venga disposta la sospensione dei procedimenti in
corso diretti a valutare detta indennizzabilità ed il riconoscimento
del suo diritto di intervenire nei predetti procedimenti, previa
disapplicazione e/o annullamento dell'art. 4, ultimo comma, del
regolamento dell'Inail per la disciplina della modalità
di esercizio e dei casi di esclusione del diritto di accesso,
pubblicato sulla G.U. n. 228 del 29 settembre 1994.
In definitiva, è stato chiesto
al collegio di disporre l'immediata sospensione dei predetti procedimenti
in corso, di ordinare all'lnail di far prendere visione alla ricorrente
degIi atti - o meglio di accedere tramite il medico a ciò
abilitato alle analisi cliniche presentate dai predetti ex dipendenti
dirette ad accertare la presenza di piombo nelle urine e nel sangue
e di consentire alla stessa di intervenire nei procedimenti; in
via solo subordinata (ed eventuale) è stato chiesto, infine,
l'annullamento delI' art. 4 del summenzionato regolamento dell'Inail.
2. - Di questione analoga a quella
ora all'esame il collegio ha, invero, già avuto modo di
occuparsi.
E con sentenza 30 aprile 1994 n. 257 passata in giudicato
in difetto di appello - questa stessa sezione ha già ritenuto
fondata la richicsta di un datore dl lavoro di accedere a quegli
specifici atti del procedimento strettamente necessari «per
curare o per difendere i propri interessi» al fine di opporsi
alla indennizzabilità della malattia professionale denunciata
da un proprio dipendente; in tale occasione, in accoglimento del
ricorso proposto, è stato ordinato - ai sensi dell'ultimo
comma dell'art. 25 L. 7 agosto 1990 n. 241 - al direttore della
sede provinciale dell'Inail di consentire l'esame degli atti del
procedimento e di sospendere il procedimento per un periodo di
tempo tale da consentire alla parte ricorrente di esaminare gli
atti richiesti e, ove lo avesse ritenuto, di intervenire nel procedimento.
Successivamente alla pubblicazione
di tale decisione sono, però, intervenute alcune rilevanti
modificazioni normative, che necessariamente impongono
al collegio di riesaminare la vicenda: da un lato é stato,
infatti pubblicato il predetto regolamento dell'lnail per la disciplina
delle modalità di esercizio e dei casi di esclusione del
diritto di accesso, emanato in attuazione della L. 7 agosto 1990
n. 241 e del D.P.R. 27 giugno 1992 n. 352, che nelle previsioni
contenute nel suo art. 4 è stato anche oggetto di impugnativa
e dall'altra è entrata in vigore la L. 31 dicembre 1996
n. 675, recante norme volte a tutelare il rispetto al trattamento
dei dati personali.
In aggiunta - deve ulteriormente ricordarsi
- successivamente alla predetta decisione sono intervenute numerose
pronunce del giudice di appello che hanno meglio puntualizzato
in quali ambiti il diritto di accesso ai documenti amministrativi
possa prevalere sull'esigenza di riservatezza del terzo.
3. In via pregiudiziale debbono necessariamente
esaminarsi le eccezioni di rito dedotte dal controinteressato
e dalla amministrazione resistente.
E preliminarmente debbono essere esaminate
le eccezioni con le quali è stata lamentata carenza di
interesse in capo alla ricorrente ad accedere agli atti richiesti
e ciò anche in relazione al fatto che la società
ricorrente avrebbe cessato la propria attività.
Sul punto deve ricordarsi che la L. 7 agosto 1990
n. 241 dispone da un lato che l'avvio del procedimento debba essere
comunicato «ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento
finale è destinato a produrre effetti diretti» e dall'altro
che ha diritto ad intervenire nel procedimento «qualunque
soggetto, portatore di interessi pubblici o privati, cui possa
derivare un pregiudizio dal provvedimento»; l'art. 22, riconosce,
poi, il diritto di accesso ai documenti a «chiunque vi abbia
interesse per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti».
Ora, interpretando tale normativa, la giurisprudenza
amministrativa ha dichiarato da un lato che l'accesso in parola
si atteggia come un'azione popolare diretta a consentire una sorta
di controllo generalizzato sull'amministrazione e dall'altro che
il presupposto dell'accesso è costituito dalla sussistenza
di una situazione giuridicamente tutelata, nonché di un
interesse che legittimi il soggetto istante ad agire per la tutela
di quella situazione, interesse, peraltro, non limitato alla titolarità
di una posiziorie che legittimerebbe il soggetto ad agire giudizialmente
e cioè alla titolarità di una posizione strettamente
personale di diritto soggettivo o di interesse legittimo.
E la stessa giurisprudenza, pronunciandosi proprio
in relazione all'accesso degli atti dei procedimenti diretti a
valutare l'indennizzabilità di malattie denunciate come
professionali, ha già pacificamente riconosciuto che il
datore di lavoro ha un indubbio interesse a partecipare al procedimento
di riconoscimento di infortunio sul lavoro del dipendente (cfr.
ex multis Cons. Stato, sez. VI, 5 gennaio 1995, n 12, Foro
it., 1995.III, 387) e ciò in relazione non solo ai
pregiudizi che potrebbero derivare da tale riconoscimento (quale,
ad esempio, l'aumento del tasso di premio applicato), ma anche
alla concreta possibilità - una volta conosciuti gli atti
- di svolgere quella specifica tutela delle condizioni di lavoro
imposta all'imprenditore dall'art. 2087 c.c.
Di quì l'indubbia utilità per il datore
di lavoro di acquisire copia degli atti del procedimento e di
intervenire nello stesso, al fine proprio di evitare sul nascere
il prodursi dei predetti pregiudizi, senza dover poi svolgere
la particolare procedura disciplinata dall'art. 39 D.P.R. 30 giugno
1965 n. 1124 e dall'art. 8 D.leg. 30 giugno 1994 n. 479, per ottenere
la riduzione del premio.
Il controinteressato contesta, però, che nel
caso di specie sussista tale interesse poichè la ricorrente
avrebbe allo stato cessato la propria attività.
Tale assunto - deve subito rilevarsi - appare, però,
sfornito dell'imprescindibile supporto probatorio.
Agli atti di causa risultano depositati alcuni atti
(anche di provenienza dell'Inail) da cui sì evince in senso
contrario a tale assunto, da un lato che alla ricorrente sono
state chieste specifiche informative in ordine all'attività
espletata dai predetti ex dipendenti e dall'altro che la ricorrente
ha continuato ad effettuare anche nell'anno in corso versamenti
di premi all'Inail.
La società istante ha, invero, al
riguardo riconosciuto alla camera di consiglio del 20 novembre
1997 di avere temporaneamente sospeso la propria attività
produttiva nello stabilimento di Bussi - ove prestavano la propria
attività lavorativa i due dipendenti in questione - ma
ha decisamente smentito l'affermazione secondo cui avrebbe cessato
in via definitiva la propria attività.
Per cui, allo stato degli atti, non può di
certo disconoscersi la sussistenza in capo all'istante di un interesse
ad accedere agli atti richiesti.
4. - Con ulteriori specifiche eccezioni l'amministrazione
resistente ha anche opposto i seguenti rilievi:
- che sarebbe inapplicabile il rito di cui all'art.
25, 6° comma, L.7 agosto 1990 n. 241, relativamente all'impugnativa
del predetto regolamento dell'lnail per la disciplina delle modalità
dì esercizio e dei casi di esclusione del diritto di accesso,
pubblicato sulla G.U. n. 228 del 29 settembre 1994;
- che il gravame sarebbe tardivo per
parte diretta avverso il tale regolamento;
- che, in ogni caso, non sarebbero stati impugnati
gli art. 6 e 19 di tale regolamento, che si pongono quali ostativi
all'accoglimento della richiesta di accesso.
Anche tali eccezioni sono prive di pregio.
Deve, al riguardo, meglio precisarsi che l'impugnativa
del predetto regolamento non costituisce la pretesa azionata in
via principale con il gravame ora all'esame, ma detta impugnativa
(in alternativa ad una eventuale disapplicazione delle norme regolamentari
eventualmente illegittime) è stata prospettata solo come
subordinata ed eventuale.
Ciò chiarito, ai fini della valutazione di
tali eccezioni occorre necessariamente vagliare la rilevanza che
nella vicenda ora all'esame assume tale regolamento, con il quale
sono state analiticamente disciplinate le modalità di esercizio
ed i casi di esclusione del diritto di accesso ai documenti amministratìvi
dell'istituto.
In particolare, con tale normativa - in sede di individuazione
dei soggetti titolari del diritto di accesso - è stato
testualmente disposto all'art. 4, 3° comma, ultima
parte, che «quando il diritto di accesso concerne informazioni
di carattere sanitario, queste non possono essere comunicate che
alla persona fisica interessata o al medico da quest'ultima designato».
Con il successivo art. 6 è stato, poi, previsto che sono
sottratti all'accesso i documenti «la cui divulgazione possa
recare un pregiudizio concreto al diritto alla riservatezza di
persone fisiche» con particolare riferimento, tra l'altro,
agli interessi sanitari; mentre l'art. 19 ha sottratto all'accesso
«la documentazione sanitaria con riferimento ad anamnesi,
referti, particolari tipologie di lesioni o di patologie che comportano
la violazione del diritto alla riservatezza».
Tali disposizioni emanate dall'Inail in attuazione
della L. 7 agosto 1990 n. 241 e del D.P.R. 27 giugno 1992 n. 352,
che sarebbero ostative - ad avviso della resistente - all'accesso
del datore di lavoro alla documentazione sanitaria, avrebbero
dovuto essere impugnate con un ricorso svolto secondo il «rito
ordinario» e non con il rito speciale di cui all'art. 25,
6° comma, L.7 agosto 1990 n. 241; in aggiunta, si eccepisce
che l'eventuale gravame avrebbe dovuto essere tempestivamente
proposto ed avrebbe dovuto avere ad oggetto anche gli art. 6 e
19 direttamente lesivi del diritto azionato con la richiesta di
accesso.
Ritiene sul punto il collegio che a tale regolamento
non possa attribuirsi quella specifica rilevanza che la resistente
suppone, né che tale regolamento così come formulato
sia ostativo, in termini assoluti, all'accoglimento della pretesa
vantata.
Giova in merito innanzi tutto rilevare che - così
come evidenziato dalla ricorrente - la disposizione contentita
nel predetto art. 4 è già stata annullata con sentenza
del Tar Lazio, sez. III, 9 gennaio 1997, n. 201, e tale sentenza
- come concordemente riconosciuto dalle parti costituite - non
risulta essere stata impugnata o sospesa dal giudice d'appello.
Ora, poiché con tale decisione allo stato
immediatamente esecutiva è stato annullato - nella parte
che quì interessa - un atto di natura regolamentare, appare
evidente che tale annullamento possa necessariamente produrre
i propri effetti erga omnes e sia destinato, quindi ad
esplicare i propri effetti anche nel giudizio in esame.
E' noto, infatti, che - così come costantemente
puntualizzato dalla giurisprudenza - la sfera di efficacia soggettiva
della sentenza amministrativa di annullamento va differentemente
individuata a seconda che si abbia riguardo alla sua parte dispositiva
(cassatoria dell'atto), ovvero a quella ordinaria (prescritt-va);
infatti, in ordine alla prima la pronuncia non può che
fare stato erga omnes, mentre in ordine alla seconda la
pronuncia fa stato unicamente fra le parti. Conseguentemente,
è stato precisato che l'annullamento in sede giurisdizionale
di atti amministrativi normativi ha effetti erga omnes che
incide, quindi, alle successive pronunzie giurisdizionali rese
anche tra parti diverse.
Ora, poichè la predetta pronuncia ha annullato
relativamente a tale aspetto la norma regolamentate in questione,
appare evidente che tale norma, in quanto cassata dall'ordinamento
giuridico, non possa assumere alcun rilievo in questa sede.
Con riferimento a tale considerazione appare allora
evidente come in relazione all'impugnativa di tale norma sia cessata
la materia del contendere e, pertanto, appaiono irrilevanti in
merito le predette eccezioni di rito.
Quanto, invece, alla contestata mancata impugnazione
dei predetti art. 6 e 19 dello stesso regolamento, deve osservarsi
che tali norme non si pongono come ostative, in termini assoluti,
all'accoglimento della pretesa vantata.
Se pur vero, infatti, che con l'art. 6, al comma,
sono stati in via generale sottratti all'accesso i documenti «la
cui divulgazione possa recare un pregiudizio concreto al diritto
alla riservatezza di persone fisiche» con particolare riferimento,
tra l'altro, agli interessi sanitari, nell'ultima parte dello
stesso comma di tale articolo si dispone anche che «deve
comunque essere garantita agli interessati la visione degli atti
dei procedimenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria
per curare o difendere i loro interessi giuridici».
Ugualmente, l'art. 19 ha sì sottratto all'accesso
«la documentazione sanitaria», ma tale eclusione non
è stata prevista in termini assoluti, in quanto l'esclusione
è stata limitata esclusivamente «con riferimento ad
anamnesi, referti, particolari tipologie di lesioni o di patologie
che comportano la violazione del diritto alla riservatezza».
In definitiva, con le norme in questione nella determinazione
dei criteri per la individuazione dei casi di esclusione del diritto
di accesso non si vieta in termini assoluti l'accesso alla documentazione
sanitaria in possesso dell'istituto e ciò in quanto da
un lato si fa riferimento ad eventuali determinazioni da assumere
caso per caso in relazione all'eventuale «pregiudizio concreto»
arrecato o alle «particolari tipologie di lesioni o di patologie»
da cui è affetto il soggetto e dall'altra si ribadisce
che deve «comunque» essere garantita agli interessati
la visione degli atti dei procedimenti amministrativi «la
cui conoscenza sia necessaria per curare o difendere i loro interessi
giuridici».
La mancata impugnativa di tali norme non assume,
pertanto, specifico rilievo ai fini della presente decisione.
5. - Così risolte tali questioni pregiudiziali
può passarsi all'esame nel merito delle richieste contenute
nel ricorso, richieste che - appare ulteriormente ribadire - sono
dirette non solo ad accedere agli atti del procedimento, ma anche
ad ottenere la sospensione del procedimento e la declaratoria
del diritto della ricorrente ad intervenire nel procedimento.
In relazione a tali richieste l'lnail nel suo scritto
difensivo ha opposto in via prioritaria da un lato l'inesistenza
di una normativa che consenta la partecipazione del datore di
lavoro o di un suo sanitario in sede di attività medico-legali
relative alla persona del lavoratore e dall'altro il c.d. diritto
alla riservatezza del lavoratore, oggi riaffermato dalla recente
L.31 dicembre 1996 n. 675.
Tali rilievi, deve subito precisarsi, non hanno pregio.
Quanto alla opposta considerazione che la normativa
vigente (il t.u. delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria
contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, approvato
con D.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124) non consente la partecipazione
del datore di lavoro o di un suo sanitario in sede di attività
medico-legali relative alla persona del lavoratore deve osservarsi
che il fondamento normativo della pretesa di cui al gravame è
stato individuato dalla ricorrente proprio nella L.7 agosto 1990
n. 241, che - per effetto dcl principio generale della successione
delle leggi nel tempo - ha indubbiamente abrogato sul punto la
normativa previgente con essa incompatibile.
Tale rilievo non considera, inoltre, i compiti e
le responsabilità che incombono sull'imprenditore ai fini
della tutela dell'integrità fisica del lavoratore secondo
le prescrizioni derivanti degli art. 32 e 41 Cost., dell'art.
2087 c.c. e degli art. 1, 4 e 31 D.leg. 19 settembre 1994 n. 626.
ln aggiunta, deve anche ricordarsi che proprio detto
d.leg. 626/94 ha oggi imposto al datore di lavoro specifici obblighi
in ordine alla adozione delle misure necessarie per la sicurezza
e la salute dei lavoratori (cfr., in specie, gli art. 4, 8-11,
16, 17 e 21), imponendo allo stesso di conoscere - sia pur non
direttamente, ma a mezzo di soggetti a ciò qualificati
(il medico abilitato alle visite periodiche) - le condizioni di
salute dei lavoratori.
Quanto, poi, alla tutela del diritto alla riservatezza
deve ricordarsi che l'art. 24, n. 2, lett. d), L. n. 241 pone
tra i beni per la cui salvaguardia il diritto di accesso può
essere escluso proprio «la riservatezza di terzi, persone,
gruppi ed imprese»; purtuttavia tale norma precisa anche
che deve essere garantita «peraltro agli interessati la visione
degli atti relativi ai procedimenti amministrativi, la cui conoscenza
sia necessaria per curare o per difendere i loro interessi giuridici».
Ugualmente l'art 8, n. 5, lett. d), D.P.R.
n. 352 prevede la possibilità di sottrarre all'accesso
i documenti riguardanti «la vita privata o la riservatezza
di persone fisiche» con particolare riferimento anche agli
interessi sanitari «ancorché i relativi dati siano
forniti all'amministrazione dagli stessi soggetti cui si riferiscono»;
anche tale norma, però, dispone che debba «comunque
essere garantita ai richiedenti la visione dagli atti dei procedimenti
amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per
difendere i loro stessi interessi».
In definitiva, la normativa vigente non garantisce
il diritto alla riservatezza in termini assoluti, ma prevede
che tale diritto receda in presenza di un opposto diritto all'accesso,
nel senso cioè che il diritto di accesso va riconosciuto
solo nei limiti nei quali esso sia rispondente all'interesse che,
a norma dell'art. 22, 1° comma, L. n. 241 lo legittima, nel
senso cioè che tale interesse costituisce al contempo fondamento
e delimitazione della pretesa.
Ed è stato al riguardo autorevolmente chiarito
che il diritto di accesso ai documenti amministrativi prevale
sull'esigenza di riservalezza del terzo ogniqualvolta l'accesso
venga in rilievo per la cura e la difesa degli interessi giuridici
del richiedente (Cons. Stato, ad plen. 4 febbraio 1997, n 5, id.,
1997, III, 199, e, da ultimo, sez. VI 3 giugno 1997, n. 843 e
sez. IV 9 ottobre 1997, n. 1128)
Nè tali conclusioni possono ritenersi oggi
incompatibili con i principi recentemente affermati dalla recente
L. 31 dicembre 1996 n. 675, recante norme a tutela delle persone
rispetto al «trattamento dei dati personali».
Tale legge ha, invero, oggi analiticamente disciplinato
la materia riconoscendo specifici diritti dell'interessato nel
momento non solo della raccolta, ma anche e soprattutto nel momento
della diffusione dei dati personali, istituendo a sovrintendere
la materia apposito Garante per la protezione dei dati personali.
Uno specifico interesse ha riservato, in particolare, la legge
al trattamento dei dati idonei a rivelare lo stato di salute del
soggetto disponendo che tali dati possono essere oggetto di trattamento
solo con il consenso scritto dell'interessato e previa autorizzazione
del Garante (art. 22 e 23), mentre - relativamente al trattamento
di tali dati da parte dei soggetti pubblici - è stato testualmente
disposto all'art. 27, 3° comma, che «la comunicazione
e la diffusione dei dati personali da parte di soggetti pubblici
a privati o a enti pubblici economici sono ammesse solo se previste
da norme di legge o di regolamento».
La stessa legge all'art. 29, 8° comma, ha previsto,
infine, che «tutte le controversie, ivi comprese quelle inerenti
al rilascio della autorizzazione di cui all'art. 22, 1° comma,
o che riguardano comunque l'applicazione della presente legge
sono di competenza dell'autorità giudiziaria ordinaria».
Tale legge - ad avviso della sezione - non appare,
però, rilevante ai fini del decidere nè per dedurre
un'eventuale carenza di giurisdizione di questo tribunale in ordine
agli specifici interessi coinvolti (trattamento di dati personali),
nè relativamente al merito della pretesa vantata.
Decisive, in merito, appaiono le disposizioni contenute
nell'art. 43 della stessa legge al cui 2° comma è
stato precisato che «restano ferme le disposizioni della
L. 20 maggio 1970 n. 300, e successive modificazioni, nonché,
in quanto compatibili, le disposizioni della L.5 giugno 1990 n.
135, e successive modificazioni, del D.leg. 6 settembre 1989 n.
322, nonché le vigenti norme in materia di accesso al documenti
amministrativi ed agli archivi di Stato».
Tale norma, cioè, nella parte in cui ha disposto
che restano ferme «le vigenti norme in materia di accesso
ai documenti amministrativi» ha inteso far salva - ad avviso
del collegio - tutta la normativa vigente in ordine al diritto
dì accesso, e ciò sia in ordine alla sussistenza
della giurisdizione dì questo tribunale a conoscere della
materia e sia in relazione ai rapporti tra il diritto alla riservatezza
ed i principi della trasparenza dell'attività amministrativa
e della «conoscibilità» degli atti e dei documenti
amministrativi, di cui il diritto all'accesso costituisce un corollario.
La norma in questione, invero, nel mentre prevede
che restino ferme con l'inciso «in quanto compatibili»
alcune specifiche disposizioni di legge, non riporta tale inciso
nel momento in cui richiama il diritto di accesso, un diritto
che, pertanto, non è stato in alcun modo inciso dalla nuova
L. n. 675, e ciò in relazìone proprio alla
pari rilevanza attribuita ai principi della tutela della riservatezza,
della trasparenza dell'azione amministrativa e del diritto di
agire con giudizio per difesa dei propri interessi da parte del
terzo.
In ogni caso giova anche considerare che con recente
provvedimento 19 novembre 1997 il Garante per la protezione dei
dati personali ha assentito l'autorizzazione n. 1/97 al trattamento
dei dati sensibili nel rapporto di lavoro.
Con tale autorizzazione «generale» è
stato, invero, consentito il trattamento a favore del datore di
lavoro (ed anche a mezzo, come nel caso di specie, del medico
competente) dei dati sensibili del lavoratore relativi al suo
stato di salute e, in particolare, alle malattie professionali,
ove tale trattamento sia necessario per far valere un diritto
in sede giudiziaria.
E tali considerazioni inducono, infine, a ritenere
manifestamente infondata la questione - posta dall'amministrazione
resistente - di legittimità costituzionale dell'art. 24,
2° comma, lett. a), L. n. 241 nella parte in cui consentirebbe
la visione degli atti malgrado le altrui esigenze di riservatezza,
con riferimento agli art. 2, 3,10, 14, 15, 21, 29 e 41
della Carta costituzionale.
Nel porre tale questione non considera, infatti,
la resistente innanzi tutto che altra norma ugualmente di rango
costituzionale impone che nell'organizzazione della pubblica amministrazione
siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità e che
tali obiettivi possono essere realizzati proprio con la trasparenza
e, in definitiva, con il riconoscimento del diritto di accesso.
Nè, d'altro canto, il diritto alla riservatezza può
ritenersi essere stato tutelato dalla Costituzione - ed anche
dalla recente L. n. 675/96 - in termini così assoluti
da impedire ogni ingerenza nella privacy. Al contrario,
la stessa recente normativa a tutela della riservatezza prevede
specifici casi di esclusione del consenso del soggetto interessato
per il trattamento dei dati personali (cfr. gli art, 12, 14, 20).
Quando poi - come nel caso di specie - è lo
stesso soggetto privato che attiva un procedimento amministrativo
per ottenerne dei vantaggi che vengono ad incidere sfavorevolmente
anche su dei terzi, il diritto alla riservatezza non può
non recedere in presenza del diritto alla difesa e alla tutela
della posizione del terzo, che costituisce anch'esso un diritto
costituzionalmente garantito; il diritto alla difesa è
riconosciuto, infatti, quale «diritto inviolabile in ogni
stato e grado del procedimento» (art. 24, 20 comma).
6. - Giunti a tale conclusione e per passare all'esame
in concreto degli interessi contrapposti (del lavoratore alla
riservatezza e del datore di lavoro ad opporsi alla indennizzabilità
della malattia professionale denunciata) ritiene la sezione che,
con specifico riferimento al predetto dato normativo, non possa
disconoscersi il diritto dell'azienda ad accedere a quegli specifici
atti del procedimento strettamente necessari «per curare
o per difendere i propri interessi» così come sopra
indicati; in particolare, deve dichiararsi il diritto della società
ricorrente ad accedere agli atti richiesti - così come,
peraltro, espressamente richiesto con il ricorso - a mezzo del
medico abilitato alle visite periodiche.
In aggiunta, deve ulteriomente ricordarsi che con
il ricorso in esame proposto ai sensi dell'art. 25, 6° comma,
L. 7 agosto 1990 n. 241, l'istante ha non solo chiesto l'accesso
agli atti del procedimento, ma anche la sospensione del procedimento
in corso ed il riconoscimento del suo diritto di intervenire nel
procedimento stesso.
A tali ultime richieste di sospensione del procedimento
e di riconoscimento del diritto ad intervenire nel procedimento
potrebbe, invero, opporsi l'inapplicabilità in relazione
a tali pretese della procedura di cui al predetto art. 25, in
quanto la tutela giurisdizionale prevista da tale norma riguarderebbe
il solo diritto di accesso ai documenti e non anche il c.d. accesso
partecipativo di cui agli art. 9 e 10 della stessa legge.
Ora, va, in mcrito osservato in via preliminare che
con la L.7 agosto 1990 n. 241, il legislatore ha voluto realizzare
un nuovo stile nei rapporti tra privato e pubblica amministrazione
garantendo da un lato comportamenti dell'amministrazione più
solleciti, comprensibili e coerenti e dall'altro un più
intenso coinvolgimento degli interessati nelle procedure amministrative,
in particolare, va sottolineata la dimensione partecipativa che
la L. n. 241/90, per la parte che qui interessa, ha inteso attribuire
al procedimento amministrativo, sganciandolo dalla mera dialettica
delle posizioni necessariamente contrapposte. E tale dimensione
spiega proprio la facoltà di intervento nel procedimento,
ampiamente riconosciuta dalla legge; intervento che a sua volta
consente l'accesso alla documentazione della amministrazione,
così come, all'inverso, deve ritenersi che l'accesso possa
essere chiesto proprio per valutare l'opportunità di intervenire
nel procedimento.
Quanto poi al diritto di accesso va ricordato che
il capo quinto della legge - di portata generale, in quanto concerne
non soltanto il procedimento - consente a tutti ed in ogni tempo
(nel rispetto dei limiti previsti dalla normativa) la «conoscibilità»
degli atti e documenti amministrativi, compresi quelli interni
al procedimento (c.d. conoscibilità erga omnes dell'azione
amministrativa).
L'accesso, nella sua enunciazione normativa, è
stato qualificato in definitiva come una situazione soggettiva
potestativa, che correda la sfera del singolo nelle relazioni
con l'apparato amministrativo, una situazione attiva di vasta
portata, che estende la capacità soggettiva e la possibilità
cognitiva dei singoli amministrati in direzione della pubblica
amministrazione nel senso più ampio del termine.
L'indicazione nella legge dì una disciplina
specifica dell'accesso agli atti amministrativi evidenzia, in
particolare, come si sia inteso configurare una nuova generale
funzione dell'amministrazione, che trova il proprio fondamento
oltre che nei principi di pubblicità e di tutela delle
posizioni giuridiche dei cittadini, direttamente nel principio
di imparzialità; sotto questo profilo l'accesso se da una
parte obbedisce allo scopo di garantire i diritti dei cittadini
nei confronti della pubblica amministrazione, dall'altro costituisce
un modo di assicurare la qualità stessa dell'azione amministrativa
(la sua imparzialità) e risponde, pertanto, ad un interesse
che è proprio della stessa amministrazione.
In tal modo inteso, il diritto di accesso costituisce
una situazione giuridica diversa rispetto al mero diritto dì
prendere conoscenza degli atti amministrativi in relazione alla
difesa dei propri interessi; si tratta, infatti, di un diritto
ad una informazione qualificata, non riconosciuto, peraltro, in
via generale a tutti i cittadini, ma in relazione ad una specifica
legittimazione, individuata nella tutela di situazioni giuridicamente
rilevanti.
Così delineata la posizione giuridica in esame
deve ulteriormente ricordarsi che questa stessa sezione con la
predetta sentenza 30 aprile 1994, n. 257, ha già
avuto modo di affermare che - nonostante la possibilità
di una teorica differenziazione classificatoria tra diritto di
visione (previsto dall'art, I0, 1° comma, lett. a, della
legge) e diritto di accesso (contemplato dall'art. 22) - la tutela
che la legge accorda a tale situazione soggettiva appare unica,
tanto se essa si manifesti in sede partecipativa al procedimento,
tanto se attenga alla conoscenza di documenti amministrativi.
E la chiave di volta per un corretto raccordo delle due norme
(art. 10 e 22) è stata individuata nella «riserva»
contenuta nell'inciso dell'ultima parte della lett. a) dell'art.
l0, che fa espressamente salve le statuizioni del successivo art.
24 senza alcuna limitazione.
Ed in tale «salvezza» è stato individuato
l'indubbio segno di complementarità della intera normativa
del capo V (relativo all'accesso ai documenti) al capo III (concernente
la partecipazione).
Conseguentemente, si è già ritenuto
che, pur in presenza di due differenti situazioni giuridiche (l'una
attinente alla fase di formazione del provvedimento amministrativo
e l'altra attinente ai documenti amministrativi già formati),
unico è il diritto di accesso previsto dalle due norme
ed analogo è lo scopo del riconoscimento in entrambi i
casi di assicurare la trasparenza dell'azione amministrativa e
di favorirne lo svolgimento imparziale per la tutela di situazioni
rilevanti.
Tale unicità risulta, poi, ribadita dall'art.
2 D.P.R. 27 giugno 1992 n. 352, lì ove si chiarisce che
il diritto di accesso si esercita anche «con riferimento
agli atti del procedimento ed anche durante il corso dello stesso».
In relazione a quanto sopra chiarito appare allora
evidente alla sezione che nel giudizio proposto al sensi dell'art.
25, 6° comma, L.7 agosto 1990 n. 241, possa non solo essere
chiesta la visione degli atti del procedimento, ma - proprio perché
nello svolgimento del procedimento sia garantita l'effettiva tutela
della posizione giuridica in esame - anche la sospensione del
procedimento fino a che non sia soddisfatta la pretesa di esaminare
gli atti.
Ove, infatti, il tribunale si limitasse ad ordinare
la sola esibizione dei documenti e l'amministrazione potesse nel
frattempo consentire l'ulteriore corso del procedimento, il diritto
di prendere visione degli atti del procedimento di cui all'art.
10, lett. a) - di certo strumentale all'esercizio del diritto
di intervento nel procedimento di cui alla successiva lett. b)
- potrebbe nella sostanza essere vanificato.
Nè avrebbero pregio le argomentazioni difensive
secondo cui la richiesta di sospensione del procedimento non sarebbe
ancorata a dati normativi e si risolverebbe in danno di una terza
persona (il lavoratore, che ha presentato l'istanza che ha dato
avvio al procedimento) e non della ricorrente.
Ad avviso del collegio, infatti, proprio l'unicità
del diritto di accesso previsto dai capi III e V della legge e
la particolare esigenza in entrambi i casi di assicurare la trasparenza
dell'azione amministrativa e di favorirne lo svolgimento imparziale
per la tutela di situazioni rilevanti impongono alla amministrazione
di sospendere il procedimento e ciò al fine garantire l'effettiva
tutela della posizione giuridica in esame, mediante la richiesta
visione degli atti.
Quanto, poi, al richiesto riconoscimento del diritto
della ricorrente di intervenire nel procedimento e dell'obbligo
della amministrazione di valutare eventuali memorie presentate,
deve rilevarsi che allo stato la lesione degli interessi della
ricorrente si è prodotta esclusivamente in relazione al
mancato accesso agli atti: non risulta, invero, che l'istante
abbia prodotto memorie. Resta, peraltro, inteso che ove la ricorrente
dopo aver esaminato gli atti, presenti memorie e documenti, l'amministrazione
non potrà non valutare tali atti pena l'illegittimità
degli atti adottati.
7. - Concludendo, alla luce delle suesposte considerazioni,
il ricorso in esame deve essere accolto nel senso sopra chiarito
e, per l'effetto, deve - ai sensi dell'ultimo comma dell'art.
25 L.7 agosto 1990 n. 241 - ordinarsi al direttore della sede
di Pescara dell'Inail di consentire alla ricorrente l'esame tramite
sanitario da essa designato degli atti richiesti e di comunicare
alla stessa, con congruo avviso, la data ed il luogo in cui tali
atti possono essere esaminati. Deve, inoltre, ordinarsi allo stesso
di sospendere il procedimento per un periodo di tempo tale da
consentire alla ricorrente dì esaminare gli atti richiesti
e, ove lo ritenga, di intervenire nei predetti procedimenti.
(1) La pronunzia odierna costituisce, per
quanto consta, il primo arresto giurisprudenziale sulla delicata
problematica dei rapporti tra trasparenza dell'azione amministrativa
e tutela della riservatezza a seguito dell'avvento della novella
del 1996 in tema di tutela dei dati personali. Dalle colonne di
questa rivista (F. CARINGELLA, Riservatezza ed accesso ai documenti
amministrativi a cavallo tra parametri costituzionali ed oscillazioni
legislative, in nota al provvedimento 16 settembre 1997 del
Garante per la protezione dei dati personali, Foro it., 1997,
III, 558) si è di recente posto l'accento sulla molteplicità
e, soprattutto, sull'imperscrutabilità degli effetti della
normativa in parola sugli sbocchi sperimentali in sede legislativa
ed interpretativa al fine di sciogliere il nodo gordiano del contrasto
tra interesse pubblico alI'informazione e aspirazione privata
alla riservatezza in ordine ai dati intimi della vita privata
e relazionale.
Segnatamente, nello scrutinare le molteplici
angolazioni dello scontro tra i valori scolpiti dall'art. 21 e
dall'art. 2 Cost. suscettibili di potenziale rivisitazione, si
è paventato il rischio di un ritorno al passato per quel
che afferisce al microcosmo dei rapporti tra pubblicità
dell'azione amministrativa e privacy del singolo di volta
in volta coinvolto dall'ostensione delle maglie dell'agere
dei pubblici poteri. Materia, questa, che sembrava aver recuperato,
dopo non pochi tormenti ermeneutici, una sua stabilità
per effetto della pronuncia dell'adunanza plenaria del Consiglio
di Stato 4 febbraio 1997, n. 5, ibid., 199, la quale aveva
concluso nel senso che l'accesso, ove necessario per la cura o
difesa di interessi giuridici, prevale sulla riservatezza, incontrando
il limite modale dell'eserclzio in forme meno invasive dell'estrazione
di copia integrale del documento per il quale si agisce ad exhibendum.
Ebbene, in un panorama scosso da fremiti di
novità, il tribunale amministrativo, investito dalla richiesta
di un datore di lavoro di accedere alla documentazione clinica
relativa a due ex dipendenti al fine di partecipare cognita
causa ai procedimenti volti ad indennizzare i soggetti in
questione per malattie denunciate come professionali, è
chiamato a dare risposta all'interrogativo immediatamente emerso
all'indomani della legge sulla protezione dei dati, id est
quello relativo all'ascrivibilità a quest'ultima di un
effetto parzialmente abrogativo della legge del 1990 nella parte
in cui, come interpretata dalla richiamata giurisprudenza, quest'ultima
sancisce la prevalenza dell'accesso sulla riservatezza con i temperamenti
di cui si è detto.
A sostegno dell'opzione negativa i giudici
di prime cure valorizzano il dettato dell'art. 43, cpv., L. 675/96,
che fa expressis verbis salve le vigenti norme in tema
di accesso ai documenti amministrativi ed agli archivi di Stato.
Né assume rilievo in senso contrario la clausola di compatibilità
recata dalla norma di cui trattasi essendo la medesima riferita
ad altre disposizioni e non richiamata in via esplicita in tema
di accesso. Traendo linfa da tale presupposto normativo, irrobustito
dal tenore del provvedimento 19 novembre 1997 del Garante in tema
di arnmissione del trattamento dei dati sensibili relativi alla
salute del lavoratore da parte del datore, ilTar conclude per
un verso nel senso della permanenza della giurisdizione amministrativa
in materia di accesso nonostante la devoluzione al giudice ordinario
da parte dell'art. 29 L. 675/96 del contenzioso relativo all'applicazione
della legge stessa, per altro verso nel senso della non incisione
dei descritti equilibri tra privacy ed accesso. Poche battute
vengono dedicate alla questione di ccstituzionalità di
un assetto normativo che rischia di sacrificare il valore della
riservatezza: questione liquidata con la valorizzazione dello
spessore costituzionale dei beni del buon andamento e dell'imparzialità
amrninistrativa alla cui protezione è funzionale il principio
di trasparenza.
Fin quì la pronuncia del giudice amministrativo.
Sul versante della tenuta del sistema è fuor di dubbio
che la linea interpretativa abbracciata scongiura il rischio che
il bilanciarnento tra i valori costituzionali debba essere risolto
con un nuovo irrigidimento del sistema, ossia con la sistematica
prevalenza del diritto alla riservatezza, nel suo nocciolo duro,
sul diritto di accesso e, soprattutto, sui referenti costituzionali,
primo tra tutti l'art. 21 Cost., da quest'ultimo presidiati. Si
fuga soprattutto il timore di una improbabile fuga verso un passato
sancita dall'azzeramento di un humus sociale «sempre
più sospettoso della cultura del .segreto ed ansioso di
pervenire a livelli di partecipazione democratica realrnente appaganti»
(testualmente, Cons. Stato, sez. IV, 17 giugno 1991, n. 649, Urbanistica
e appalti, 1997, 1218).
Il circuito argomentativo seguito dai giudici
abruzzesi, si impernia su di un approccio letterale all'art. 43
della legge del 1996, che nega l'estensibilità della clausola
di compatibitità a tutte le discipline richiamate dalla
norma. Più in generale, l'affermazione secondo cui la L.
n. 675/96 ha lasciato tutto come prima nella materia che ci interessa
appare difficilrnente sincronizzabile con l'emersione di un'impalcatura
nella quale la penetrazione della sfera intima della persona deve
passare per le forche caudine del consenso dell'interessato e
dell'autorizzazione del Garante.
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